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Gli Statuta Olibani

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La formazione dello statuto

Per capire bene l’evolversi delle norme che regolavano la vita quotidiana dei cives Olibanenses, è necessario anche comprendere le tappe della formazione dello statuto, le vicende che hanno portato alla sua originaria stesura e alle successive riforme.

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Il codice da noi conservato fu redatto nel 1430, in occasione delle prime riforme approvate da Giordano Colonna; fu allora che la comunità diede incarico a uno scriba di travasare su un unico libro i due documenti che costituivano il corpus normativo di cui fino a quel momento gli Olevanesi si erano dotati: l’atto notarile col quale i primi statuti erano stati approvati nel 1364 dal Comune di Roma e quello col quale Giordano Colonna aveva concesso la prima serie di riforme, poco dopo che Olevano era definitivamente passato sotto la sua signoria. Dunque due diversi atti trascritti, però, nello stesso momento e nello stesso contenitore. Ciò voleva dire ricopiare le prime norme statutarie (quelle del 1364), che erano con molta probabilità state rogate su pergamena sciolta e non su codice, e unirle alla prima serie di riforme.

I due atti vennero ricopiati nel codice così com’erano, comprensivi delle formule di richiesta avanzate dagli Olevanesi, di quelle di conferma pronunciate dalle magistrature capitoline e da Giordano Colonna e di quelle tipiche della prassi notarile, atte a dar loro forza di prova.

Il codice così composto fu poi nuovamente aggiornato con l’aggiunta del testo delle riforme del 1581 e del mandato di Marzio Colonna del 1587. Solo questo ha permesso a quei testi di giungere fino a noi e il codice oggi conservato nell’archivio del comune di Olevano ne rappresenta l’unica testimonianza, poiché i documenti originali, quelli che facevano fede e che per questo avrebbero dovuto essere conservati più a lungo e con maggiore cautela, sono andati perduti, così come è andata perduta tanta documentazione antica.

Il testo dello statuto di Olevano

Il testo dello statuto di Olevano fu concesso ed approvato il 15 gennaro 1364 dai Sette Riformatori della Repubblica e dai Quattro Anteposti della Felice Società dei Balestrieri e dei Pavesati.
Esso, tràdito sottoforma di codice, testimonia insieme alla successive riforme del 1430, 1581 e 1587, le varie fasi giuridiche che caratterizzarono e scandirono il modus vivendi della comunità olevanese.
Il codice nella sua totalità non è di fattura pregevole. La pergamena è di mediocre qualità; non è regolare nello spessore, né all’interno del fascicolo né in uno stesso foglio, e risulta essere di colore giallo-grigiastro. Gore di umidità e arricciamento dei fogli, uniti a tagli e lisieres, compromettono talvolta la lettura del testo. Su buona parte del codice si riscontrano sottolineature, correzioni, annotazioni marginali, rinvii da un capitolo all’altro e segni “d’uso”, prova che il testo statutario veniva consultato e “studiato” per eventuali modifiche.

Le carte di controguardia mancano su entrambi i contropiatti; su quello posteriore, oltre le ribattiture della pelle, è visibile una nota manoscritta ed alcune cifre messe in colonna per un’addizione ed una sottrazione.
Il codice è cucito su quattro nervi singoli in spago. Sebbene tutti i fascicoli siano ancora uniti, la cucitura è molto allentata ed i nervi parzialmente sfilacciati ed indeboliti. L’indorsatura – ancora presente e visibile in alcuni tratti – è in pergamena. La legatura è in mediocre stato di conservazione, con la pelle molto rovinata lungo il taglio di piede, dove appare lacerata e tagliata. Evidenti sono le abrasioni del fiore della pelle, specialmente lungo gli angoli che appaiono scamosciati, ed i fori lungo il dorso. Sulla coperta del piatto anteriore è presente una scritta poco leggibile, mentre su quella del quadrante posteriore un disegno simile ad una sorta di giglio.

L’intero testo degli Statuti del 1364 e quello delle riforme del 1430 sono scritti da due mani che si susseguono senza un ordine preciso, in una gotica posata, regolare e ordinata.

I titoli ed i numeri dei capitoli e la numerazione delle carte sono scritti con inchiostro rosso; le I degli Item iniziali di ciascun capitolo, le altre iniziali ed i segni di paragrafo all’interno del testo sono resi, alternativamente, con inchiostro rosso e blu. Talvolta, al posto del segno di paragrafo, le lettere stesse sono eseguite con inchiostro colorato. Uniche eccezioni sono rappresentate dalle due I iniziali filigranate e dalle sei I iniziali alle cc.10v, 38r, 39r-v, 40r e 41r, più grandi delle altre e bicolori.
La posizione dei titoli, spesso tra capitolo e capitolo ma mai in una riga propria, o relegati ai margini interni o esterni della carta, può essere segno di intervento posteriore alla scrittura stessa del testo: per le parti colorate venivano lasciati spazi bianchi che si rivelavano, però, talvolta insufficienti a contenere l’intera lunghezza del titolo.

 

La raccolta statutaria si compone di 139 capitoli, suddivisi in quattro parti a seconda della materia trattata: Ordini e uffici pubblici (capp. 2-33), Diritto civile e procedure civili e penali (capp. 34-55), Diritto penale (capp.56-114) e Danni dati e polizia urbana e campestre (capp. 115-139).

Il testo legislativo ha un valore altissimo per la modernità e il livello di democraticità che esso raggiunge rispetto ad altre raccolte statutarie dello stesso periodo. Basti pensare, ad esempio, che in caso di adulterio il nostro statuto prevedeva una semplice pena pecuniaria, invece dell’arbitrio assoluto che il diritto romano concedeva al marito offeso. Oppure, in materia di successione feudale: se lo statutum Olibani non prevedeva limiti, quello di Genazzano ammetteva come eredi solo i figli, i fratelli e i nipoti di ambo i sessi del defunto. Per la riparazione di strade, fonti e ponti, poi, le spese erano, a Genazzano, a carico della comunità, a Olevano, metà a carico della Curia, un quarto a carico dei pedites, un sesto spettava ai nobiles ed un dodicesimo alla Chiesa.

Ma la cosa più sorprendente (e più moderna) è nella pena sancita in caso di stupro: esso veniva punito con il taglio della testa, come nei casi di omicidio volontario, veneficio o rapina in strada, sebbene vi fosse sempre la scappatoia del perdono dei congiunti della vittima.

Le altre pene erano tutte di tipo pecuniario; non era prevista la fustigazione in piazza o altre pene crudeli come il taglio di mano o della lingua. Chi invece confessava spontaneamente un reato aveva uno sconto della pena di un quarto.
Lo statutum Olibani dunque era vòlto di più a colpire i beni patrimoniali, mobili e immobili, che non a coinvolgere il condannato in un processo di rieducazione e reinserimento nella società.

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